Il rapporto tra interno ed esterno è stato l’oggetto dell’atelier virtuale di oggi, sperimentando in modo interattivo architettura, arte e dello spazio attorno a sé.
Un’abitazione si pone sempre in relazione con il contesto. Le soluzioni compositive dei volumi, della facciata e del giardino, si mostrano al circostante: alle volte esse sono volute e ricercate da chi le abita, altre volte no. E poi le finestre e le forature: offrono affacci sull’esterno – un esterno che muta, all’evolversi della città –, allo stesso tempo mostrano l’intimità di chi abita – con i quadri, il modo di vivere, la propria intimità.
Nell’architettura del ‘900, nel ribollire artistico e creativo, questo rapporto imprescindibile ha prodotto opere che hanno messo in discussione totalmente le consuetudini del costruire – e quindi del modo di vivere. Mies van der Rohe è uno dei maestri che più ha suggestionato la contemporaneità sul tema del limite tra dentro e fuori, lasciandoci disegni (progetti) alle volte confondibili con tele astratte.
Nell’esercizio proposto, pensando a una casa ideale come espressione di sé, ogni partecipante ha fissato le proporzioni del volume, la collocazione e il contesto. Poi l’attenzione è passata al trovare due “viste”: una dell’interno, che parlasse di un luogo o un oggetto caro, concreto; una verso l’esterno, ideale o no, del dove si vorrebbe volgere lo sguardo aprendo una finestra. Si è passati quindi alla costruzione della città.
Come tutte le città, variabili non prevedibili tramutano centri in periferie, spazi vuoti in riempiti e così via: l’affaccio scelto per sé inoltre, portato sulla membrana esterna della propria casa, diventa una vista per l’altro. Tutto ciò crea una serie di fili invisibili che tengono assieme la maglia urbana della nuova cittadina che la passeggiata (virtuale) fatta assieme per le vie ha mostrato nei suoi equilibri.